L’ordine per la liberazione di Firenze, arrivo da un telefono da campo tedesco: “Domani Firenze sarà libera”. Prima della Martinella, la campagna di Palazzo Vecchio, i partigiani udirono la sorda vibrazione dell’apparecchio che in bella mostra aveva di Waffenamt di approvazione militare con la svastica nazista. Quel telefono è ancora qui, custodito da Gabriella Breri, 84 anni, figlia del ‘centralinista’. che era un vigile urbano fiorentino, Erio Breri. Breri teneva nascosto a rischio della vita tra gli Uffizi e Palazzo Vecchio. Oggi quel pezzo di storia, rimasto in possesso e custodito dalla fine della guerra per tutta la sua vita dallo stesso Breri, è ancora testimone muto di quegli eventi. La sigla WaA900, anno di produzione 1942, indica che il telefono modello FF33 è stato costruito dalla Friederich Merck Telefonbau di Monaco di Baviera (alla quale nel 1943 subentrò la Vereinigte Bayrische Telephonwerke), una delle tante aziende che supportava lo sforzo bellico nazista.
La storia del telefono della liberazione
Il telefono della liberazione di Firenze oggi si trova a Grosseto, dove Gabriella vive con il figlio Gianni Fanetti. L’apparato è ancora intatto, fabbricato nel 1942 e racchiuso nel suo guscio di bakelite, la plastica degli anni ’40. Insieme al telefono, Erio Breri aveva conservato anche gli altri ‘arnesi’ della lotta clandestina che hanno segnato l’inizio della battaglia di Firenze: la bobina di cavo telefonico di fabbricazione inglese, quella che venne stesa dagli Uffizi al Corridoio Vasariano per permettere il funzionamento dell’impianto, e un cilindro di metallo nel quale la sua squadra inseriva documenti da consegnare agli alleati sull’altro lato dell’Arno. Ogni dettaglio di questa operazione, durata dal 6 all’11 agosto 1944 è stato ricostruito grazie al diario che Erio Breri, uomo meticoloso, scrisse durante quei giorni. E proprio grazie a quel diario, e agli appunti successivi sui materiali da lui conservati è stato possibile ricostruire questa storia incredibile.
Gabriella Breri e suo figlio Gianni hanno espresso la volontà di donare questi reperti a Palazzo Vecchio perché siano esposti in una teca, facciano memoria per i giovani. Sono il tributo al coraggio non solo di Erio, ma anche di tutti gli altri agenti di polizia municipale che, rischiando la loro vita, aderirono alla resistenza e operarono per liberare i fiorentini garantendo il collegamento tra la zona occupata e l’Oltrarno.
Il passaggio dell’Arno dopo la distruzione dei ponti
Il primo a passare attraverso il Vasariano, dopo la distruzione dei ponti sull’Arno operata dai tedeschi, fu Enrico Fisher, il comandante partigiano della III compagnia della divisione partigiana Giustizia e Libertà. Era il superiore diretto di Breri che, pur avendo mantenuto la divisa da vigile urbano, aveva aderito alla resistenza e si trovò al comando del gruppo di uomini, tutti agenti della municipale, addetti al servizio telefonico. Fisher stese il cavo telefonico lungo il corridoio che si snoda sopra il Ponte Vecchio. Una volta messi in collegamento partigiani e alleati, dal giorno successivo arrivò il momento di presidiare l’apparecchio. Erio Breri, secondo il racconto della figlia, finse di prendere giorni di ferie; in realtà passò una notte e un giorno nascosto in cima alla torre di Arnolfo, poi la notte successiva, passando dal comune si spostò fino agli Uffizi dove avevano nascosto il telefono.
Il gruppo di ‘centralinisti clandestini’ aveva anche un altro delicato compito: passare agli alleati i documenti trafugati ai tedeschi. Li nascondevano in un tubo di metallo che veniva calato sulle macerie da un buco nel pavimento della galleria all’altezza di via Guicciardini. Come specificato in un documento autografo dello stesso Erio, il tubo era legato a un nastro da mitragliatrice alleato. Questa operazione venne fatta sotto la minaccia continua delle numerose pattuglie tedesche che presidiavano la zona e a rischio della vita visto che tutte le macerie intorno all’area di Ponte Vecchio erano state pesantemente minate. Anche il tubo metallico e il nastro portamunizioni si trovano nella casa di Grosseto, e raccontano la loro storia di coraggio e memoria. Da quei tubi passarono anche i piani della linea gotica sottratti ai tedeschi e di volta in volta importanti documenti militari e messaggi che venivano recapitati alla testata del ponte dai gregari appartenenti alla formazione. Sul lato alleato il telefono fu sistemato in una casa diroccata di via Guicciardini, Breri e i suoi scelsero la sala delle carte geografiche nella Galleria degli Uffizi perché garantiva maggior sicurezza. Ma il piazzale brulicava di tedeschi e di tanto in tanto qualche pattuglia cercava di entrare per ispezionare le sale monumentali: il 7, si legge nel diario, agosto i nazisti si avventurarono lungo il corridoio. Breri e i suoi fecero in tempo a smontare tutto: telefono e cavo. Non si fecero scoprire: dopo un paio d’ore le comunicazioni ripresero regolarmente.
Erio Breri, classe 1913, fino ad allora scritturale del comandante dei vigili urbani di Firenze, fu l’uomo giusto al posto giusto. Antifascista convinto, fu protagonista anche di diverse azioni di sabotaggio durante l’occupazione: una su tutte rimasta nei libri di storia: quando ricevette l’ordine di redigere una lista completa degli ebrei fiorentini, cercò in ogni modo di fuorviare gli utilizzatori, infarcendola di errori tra indirizzi e nominativi. Nei giorni della RSI era rimasto al suo posto in Palazzo Vecchio per dare il suo contributo alla liberazione, nonostante fosse comunque ‘osservato speciale’ anche tra i colleghi fedeli al regime.
Il diario della liberazione di Erio Breri
Ecco alcuni stralci dal diario di quei giorni, stilato da Erio Breri con dovizia di particolari
«Dalla Galleria degli Uffizi al limite del passaggio (verso la chiesa di Santa Felicita ndr) occorrono circa 40 minuti fra andata e ritorno, non tanto per il tratto (circa 800 metri) quanto per gli ostacoli da superare: occorre cautela essendo la strada sotto il controllo dei tedeschi, colma di macerie e vetri che sotto le scarpe stridono ancor più forte per la quiete mortale di abbandono che esiste, infestata di mine in continua esplosione»
«Al limite del passaggio vi è una grande buca nell’impiantito dalla quale per mezzo di un canapo, a tre calate, agganciato a dei regoli di ferro che servono per reggere i quadri della Galleria, ci si cala sul Ponte Vecchio da un’altezza di dieci metri. Dal limite del passaggio, con nostra commozione, per la prima volta vediamo un soldato inglese coi calzoni corti. Beati quelli d’oltrarno!»
«Tornando indietro ci soffermiamo appena sul ponte vecchio e attraverso le finestrine vediamo lo spettacolo atroce dei ponti che mai si cancellerà davanti ai nostri occhi. Le botteghe degli orafi danno il vero spettacolo del saccheggiamento operato dai tedeschi prima delle esplosioni».
Nel diario di Breri è descritto anche il giorno della liberazione, ecco le sue parole:
«11 agosto, venerdì – ore 6,30 suona la campana di Palazzo Vecchio. E’ il segnale dell’insurrezione. Ore 8,15 al centralino giunge Mc Intosh, Norris (gli ufficiali alleati delle operazioni speciali che misero in piedi il servizio di comunicazione ndr), Ragghianti. Decidiamo di Entrare in città. Ore 830 Entriamo a Palazzo Vecchio e quindi in città con McIntosh, un suo attendente, un erculeo ragazzone, Ragghianti ed Enrico (Fisher ndr). Indescrivibile la gioia e la meraviglia dei cittadini lungo la strada che ci conduce alla Prefettura dove si è insediato il CTLN e ove si svolge il primo colloquio coi dirigenti del CTLN. Giungono le prime notizie dei combattimenti fra partigiani e tedeschi lungo la riva del Mugnone»