Era il 4 agosto 1944. Prime ore della mattina. Una pattuglia mista di soldati britannici e italiani, era entrata a Firenze in avanscoperta. La città era ancora nelle mani dei tedeschi che stavano per far saltare i ponti sull’Arno. Quando gli alleati arrivano nella zona di San Niccolò, tra via del Lupo e via dei Bastioni, vengono scoperti da un cecchino di vedetta. Il tiratore punta l’ufficiale e spara. Viene colpito mortalmente il tenente delle Scots Guards Hug Mortain Snell. Aveva 21 anni, ed era nato in un sobborgo di Londra. E’ stato la prima vittima della battaglia di liberazione di Firenze e da sempre rappresenta idealmente tutti i giovani soldati stranieri che dettero la vita per liberare la città.
Il tenente Snell è stato ricordato con una cerimonia di commemorazione che si è tenuta al Florence war cemetery del Girone, nel comune di Fiesole. Un evento organizzato dall’Anarti, l’associazione degli artiglieri sezione di Firenze con la partecipazione di Giordano Righetti della Commonwealth war graves commission e di Father Chris Williams, cappellano della chiesa anglicana di St. Mark a Firenze. Oltre alla corona d’alloro nel sacrario, il presidente dell’Anarti, Andrea Breschi ha voluto ricordare espressamente questo giovane militare, che ha dato la vita per la libertà dei popolo e la democrazia. Alla manifestazione erano presenti anche rappresentanti dell’Esercito dall’Istituto Geografico militare e dell’Aeronautica dall’Istituto di Scienze militari aeronautiche di Firenze.
Nella notte tra il 3 e il 4 agosto, i tedeschi fecero saltare i ponti sull’Arno per fermare l’avanzata delle truppe Alleate. Dovevano guadagnare tempo per terminare la costruzione della Linea Gotica, la grande linea di difesa sulla dorsale appenninica fra La Spezia e Rimini. I genieri della Heer minarono i ponti facendo tabula rasa di tutto. Fu uno spregio inutile: dopo la liberazione di Firenze la 577 Field Company dei Royal Engineer in seno all’VIII armata britannica realizzarono un provvisorio ponte Bailey all’altezza del Ponte Santa Trinita e attraversarono senza problemi l’Arno.
Nel pomeriggio del 29 luglio il comando nazista ordinava di sgomberare una vasta area vicina all’Arno di entrambe le sponde del fiume. Con mezzi di fortuna, tantissime famiglie, migliaia di fiorentini, dovettero lasciare le proprie case e diventare profughi nella propria città con carretti e con poche masserizie. In 5000 si rifugiarono in Palazzo Pitti, il palazzo reale. Alle 14 di giovedì 3 agosto 1944 i tedeschi affissero per le strade di Firenze i manifesti dello stato d’emergenza. I fiorentini ebbero tre ore di tempo per rinchiudersi in casa, con finestre e porte sbarrate. I tedeschi ebbero l’ordine di sparare a chi avessero trovato per strada. Firenze non fu, come molti credettero o sperarono, grazie alle sue opere d’arte, “città aperta” ma fu oggetto di distruzione e di morte.
I membri del Comitato Toscano di Liberazione Nazionale (CTLN) decisero di rimanere uniti fino all’insurrezione nell’ufficio di Natale Dell’Oppio in via Condotta 8. Sbarrarono le porte e con loro portarono armi, bracciali, tessere di riconoscimento. A poche decine di metri, in piazza Strozzi 2, si stabilì il Comando militare del CTLN con a capo il colonnello Nello Niccoli. Poi fu un silenzio spettrale, una sospensione del tempo.
Dalle 22 del 3 agosto fino all’alba del 4 agosto 1944 una serie d’esplosioni, una dopo l’altra, distrusse i ponti, come un effetto domino: Ponte alle Grazie, Ponte Santa Trinita, Ponte alla Carraia, Ponte San Niccolò, alla Vittoria, e tutte le strade intorno a Ponte Vecchio, l’unico a rimanere in piedi, per decisione degli stessi nazisti. Rimase aperto il passaggio del Corridoio vasariano che collega, ancora oggi, Palazzo Vecchio a Palazzo Pitti, l’unica via di comunicazione dei partigiani tra le due sponde. Questo passaggio fu aperto nei giorni successivi da Orazio Barbieri e da Enrico Fisher, comandante della III Divisione di Giustizia e Libertà, che, insieme ad altri componenti del CTLN, stese un filo telefonico, mettendo così in contatto la sala delle carte geografiche agli Uffizi con una postazione partigiana nei pressi di piazza Santa Felicita.
Un altro ponte rimase in piedi: il piccolo ponte di Mantignano, detto dei “cazzotti”. Con la sua difesa i partigiani delle SAP salvarono anche l’acquedotto di Santa Maria a Mantignano, la cui acqua arrivava tramite una condotta interrata, fino al ponte alla Carraia. I fiorentini, appena poterono, fecero la fila per attraversare l’Arno sulle macerie dei ponti o lungo il ponte Bailey e andare di là per riappropriarsi della loro identità e vedere con i propri occhi se Firenze c’era ancora ed era viva.
Il tenente Snell non è stato dimenticato. Come il suo parigrado americano Frederick Hartt, monument man che ha restituito le opere d’arte agli Uffizi, riposa in terra toscana (l’americano è sepolto alle Porte Sante) e i fiorentini, che ricordano i loro santi e chi ha dato tutto per la città, celebrano la loro memoria