L’ordine fu: bombardare l’abbazia di Montecassino. Il monastero benedettino carico di storia che ebbe la sfortuna di trovarsi al crocevia dell’avanzata alleata verso la conquista di Roma. Il 15 febbraio 1944 i bombardieri alleati distrussero l’abbazia, con un raid che sollevò non non poche critiche proprio per la sacralità dell’obiettivo. Intorno a questo luogo mistico alleati e tedeschi combatterono in maniera cruenta tra gennaio e maggio del ’44. Le truppe alleate riunite si concentrarono intorno a questo luogo fortemente munito con un obiettivo: aprire un varco nella linea Gustav per andare a Roma. E il varco in questa linea difensiva allestita dall’asse era proprio il borgo di Cassino, punto di accesso alla valle del Liri, e l’abbazia di Montecassino che sovrastava la valle e permetteva ai difensori di controllare i movimenti delle truppe nemiche. I tedeschi presidiavano pesantemente tutta quella zona: impegnarono per oltre cento giorni le forze alleate in un’accanita guerra di posizione che fu sbloccata solo con il bombardamento pesante dell’abbazia e una serie di attacchi di terra che costarono migliaia di vite umane.
Lo sfondamento della linea Gustav avvenne solo a metà maggio con l’imponente operazione Diadem, che permise alle forze alleate di irrompere oltre le difese tedesche che difendevano il settore della Gustav dalla costa tirrenica a Cassino e contemporaneamente sfondare il perimetro difensivo tedesco contro la testa di sbarco ad Anzio. Aperta la testa di ponte verso Roma, i tedeschi cominciarono un ripiegamento progressivo verso la linea Gotica, ultimo baluardo difensivo che presidiarono fino alla fine della guerra.
Distruggete l’abbazia di Montecassino
Montecassino era parte integrante del sistema di difese tedesche. Fu praticamente inevitabile che gli alleati considerassero l’abbazia un obiettivo. Il monastero però era un pezzo di storia della cristianità, oltre che scrigno di un inestimabile patrimonio di opere d’arte. I tedeschi trasferirono a Roma tutte le opere d’arte, poi trasformarono la struttura in un centro difensivo; anche se in un primo tempo sembrò che la battaglia potesse risparmiare queste antiche mura, a febbraio 1944 fu abbastanza chiaro che la guerra sarebbe arrivata. Ormai l’abbazia era presidiata dai paracadutisti tedeschi e gli alleati, che avevano combattuto duramente sul Garigliano e sul Rapido non volevano mollare l’avanzata. Il maresciallo Harold Alexander, sotto pressione da Londra e Washington, mise a disposizione della 5^ armata americana del generale Clark il Corpo d’armata neozelandese al comando del tenente generale Freyberg: la grande unità era formata dalla 2ª Divisione neozelandese, dalla 4ª Divisione indiana, dalla 78ª Divisione fanteria britannica. Fin dai primi giorni di febbraio Freyberg aveva avvertito il generale Clark che forse sarebbe stato necessario «buttare giù» il monastero e, il 12, presentò ufficialmente la richiesta dopo aver ricevuto diverse testimonianze circa la presenza di osservatori tedeschi nell’abbazia. «Voglio che sia bombardato – scrisse Freyberg – gli altri obiettivi non contano, ma questo è di importanza vitale. Il comandante di divisione che conduce l’attacco lo ritiene un obiettivo essenziale e io sono completamente d’accordo con lui». Clark e tutti i comandi di terra statunitensi non trovavano giustificato quel bombardamento.
Clark, nelle sue memorie, scrisse che se Freyberg fosse stato un suo subordinato avrebbe semplicemente respinto la sua richiesta, ma che «alla luce del desiderio degli inglesi di trattare i neozelandesi con molta diplomazia e con molto tatto» era stato costretto a rimandare la decisione chiedendo il parere di Alexander. Che emise la sentenza di condanna: «Quando i soldati stanno combattendo per una giusta causa e sono pronti ad affrontare anche la morte e la mutilazione, non si può permettere che dei mattoni e dell’intonaco, per quanto venerandi, abbiano un peso di fronte a vite umane». Clark dovette acconsentire alla tesi di considerare quel bombardamento una necessità prevalente rispetto alla salvaguardia dell’eredità artistico-culturale italiana.
Le Fortezze volanti violano l’abbazia di Montecassino
Il raid aereo sopra l’abbazia fu fissato per il 13 febbraio. Si sarebbero usati i B17, le Flying Fortress, capaci di trasportare bombe ad alto potenziale per avere ragione delle spesse mura del monastero, costruito nel VI secolo d.C. con scopi anche difensivi. Il bombardamento doveva avvenire in una giornata serena visto che i B17 volavano ad alta quota e dovevano mirare a un obiettivo tanto piccolo. Il maltempo costrinse a rinviare il bombardamento alla mattina del 15 febbraio. Il 14 l’area dell’abbazia venne cannoneggiata con proiettili che contenevano volantini di avviso dell’imminente distruzione del monastero. Gli sfollati fuggirono nelle grotte vicine, oppure si ripararono nei sotterranei; altri furono evacuati nella notte dai tedeschi. Alle 9:45 dell’assolato 15 febbraio la prima ondata di 142 B-17 della Fifteenth Air Force sganciò 253 tonnellate di bombe ad alto potenziale e incendiarie, seguita da una seconda ondata di 47 bimotori North American B-25 Mitchell e 40 bimotori B-26 Marauder della Mediterranean Allied Air Forces che sganciò altre 100 tonnellate di bombe a partire dalle 13. Oltre al bombardamento, il colle fu squassato da un potentissimo attacco d’artiglieria. L’abbazia venne sgretolata. Non c’è un bilancio sulle vittime civili del bombardamento; un bilancio dice 230, altre stime dicono diverse centinaria. Non risultano vittime tedesche. La propaganda nazista utilizzò il bombardamento a suo pro; ma anche dal punto di vista militare ci furono vantaggi. Le rovine dell’abbazia e le spesse mura perimetrali ancora in piedi furono rapidamente occupate dai paracadutisti tedeschi, e gli operatori dell’esercito inviarono a Berlino le riprese delle macerie fumanti che il ministro della propaganda del Terzo Reich, Joseph Goebbels, non esitò a utilizzare.
Gli attacchi neozelandesi vanno a vuoto
Dopo il bombardamento fu chiaro che si sarebbe dovuto ancora combattere. Le mura del monastero erano ancora intatte alla base, quindi non c’era ancora accesso. E gli alleati non erano preparati militarmente per portare avanti un attacco al colle, visto che i tedeschi lo tenevano saldamente con postazioni difensive ben munite. Nel pomeriggio del 15 febbraio Freyberg ordinò l’attacco all’abbazia, ma i comandanti al fronte si rifiutarono: Quota 593 era ancora presidiata dai tedeschi, e qualsiasi movimento verso Montecassino sarebbe stato fermato dal fuoco di fiancheggiamento proveniente dall’altura. Si optò dunque per la presa di quell’avamposto e toccò agli uomini del battaglione “Sussex” che effettuarono un primo attacco alla cieca e furono respinti. Una seconda offensiva, scattata dopo aver ricevuto i rifornimenti portati dai muli lungo difficili mulattiere, si infranse contro i robusti capisaldi costruiti dai granatieri corazzati della 90ª Divisione tedesca e costò grosse perdite. In quelle due notti più del 50% degli uomini del “Sussex” impegnati rimase ucciso o ferito. Anche un secondo assalto nei giorni successivi non ebbe successo e le perdite furono ugualmente elevate. Per i tedeschi fu una vittoria, amplificata dai successi ottenuti ad Anzio tanto che per una fase della battaglia sembrò addirittura che gli Alleati dovessero evacuare la testa di ponte
Piovono ancora bombe sull’abbazia
A questo punto lo sfondamento della linea Gustav divenne una priorità militare anche per alleggerire la pressione su Anzio. E così l’attacco si allargò verso la città di Cassino e la collina del Castello. Era questa l’unica direttrice percorribile per i mezzi corazzati. Anche la città era pesantemente fortificata; Freyberg ordinò un bombardamento aereo e di artiglieria su larga scala che l’avrebbe distrutta e permesso ai neozelandesi di occuparla, aprendo l’accesso alla valle del Liri. L’opzione in campo era un un bombardamento ancora più pesante; l’obiettivo era dimostrare che i bombardamenti strategici potevano non solo dare un contributo tattico, ma vincere addirittura una battaglia terrestre: lo scopo era fare strage dei difensori di Cassino e lasciare tramortiti i pochi sopravvissuti al punto tale di renderli incapaci di opporre resistenza. Nonostante le perplessità si decise per l’attacco. La prima data individuata per questa seconda incursione era il 24 febbraio ma il maltempo determinò un rinvio di tre settimane. Il 14 marzo il cielo si schiarì abbastanza da consentire l’attacco per il giorno seguente e, nella notte, le truppe alleate di prima linea furono ritirate senza che i tedeschi se ne accorgessero. Intorno alle 8 prese il via l’operazione. Giunsero sulla città i primi apparecchi e per le successive quattro ore 575 bombardieri medi e pesanti e 200 cacciabombardieri, la più imponente forza aerea mai raccolta nel teatro di guerra del Mediterraneo, sganciarono oltre 1.000 tonnellate di esplosivo ad alto potenziale su circa 2,6 chilometri quadrati di campagna. La cittadina fu completamente demolita.
Al termine del bombardamento 748 cannoni spararono su Cassino e sul monastero 195.969 proietti di ogni calibro. L’abbazia in rovina continuò a essere colpita per il resto della giornata e fino alle prime ore del giorno successivo. Dei circa 300 uomini del 3º Reggimento paracadutisti annidati a Cassino, almeno la metà rimase uccisa o ferita e molti dei sopravvissuti approfittarono della pausa tra l’incursione aerea e il cannoneggiamento per rifugiarsi nelle fognature, imitando i pochi civili che ancora non avevano abbandonato la città. Ci furono anche errori nel bombardamento, centinaia di bombe piovvero per errore su Venafro, Isernia, Pozzilli, Montaquila e Cervaro causando decine di morti tra la popolazione civile. Ma il bombardamento non ebbe i risultati sperati: quando gli alleati tentarono di avanzare verso la collina del Castello, dalla resistenza nemica si resero conto che i soldati tedeschi avevano abbandonato i loro rifugi ed erano tornati in linea. Con il vantaggio di avere cumuli di macerie per difendersi ed essere ancora più letali. Anche la seconda offensiva si concluse con una vittoria difensiva da parte dei tedeschi. La città dovette essere rastrellata strada per strada ma, in quel tipo di combattimento, i neozelandesi non poterono sfruttare la superiorità d’artiglieria di cui godevano; al contrario i paracadutisti tedeschi si giovarono del mare di rovine che era diventata Cassino. Nel frattempo era cominciata una intensa lotta che durò alcuni giorni per la posizione chiave di Hangman’s Hill e lungo i tornanti del monastero. Trincerati nell’abbazia sventrata, i tedeschi segnalavano ogni movimento dei nemici alle sezioni mortai e i cecchini imponevano ai soldati attaccanti un vero e proprio stillicidio; anche di notte i tiratori scelti e le bombe colpivano i barellieri e rendevano difficili i rifornimenti.
Lo scontro finale apre la via per Roma
Nell’aprile ’44 il generale Clark apprese la data dell’operazione Overlord: intuì subito che, dopo lo sbarco alleato in Francia, la campagna d’Italia sarebbe passata in secondo piano. Gli stati maggiori americani e inglesi convenirono sulla necessità di concentrare gli sforzi sulla campagna in Italia, dove a maggio era prevista una potente offensiva contro la linea Gustav. Per tutti però, dopo la caduta di Roma, la campagna d’Italia sarebbe passata in secondo piano per concentrarsi sul secondo fronte europeo e sul corridoio che dalla Francia avrebbe portato gli alleati verso la Germania.
Lo sfondamento su Cassino divenne compito dell’8^ ‘armata britannica e avanzare lungo la Statale n. 6 passando a est di Roma, quindi puntare su Ancona e Firenze; la 5ª Armata di Clark avrebbe quindi marciato su Roma per occupare gli aeroporti di Viterbo e i porti di Civitavecchia e Livorno. Alleati e tedeschi approfittarono di questo tempo per riorganizzarsi. Al momento dell’attacco dell’11 maggio l’artiglieria alleata continuò con il suo solito bombardamento delle postazioni tedesche per non far sospettare alcunché. Verso le ore 10 il cannoneggiamento si diradò e cessò anche il tiro dei tedeschi, che nella notte avevano programmato un avvicendamento di truppe e non volevano provocare i cannoni alleati.
Poi alle 11 il silenzio fu sconquassato dal ruggito dei 1 600 cannoni che aprirono il fuoco contemporaneamente, e per quaranta minuti le artiglierie martellarono le postazioni tedesche con un fuoco di sbarramento imponente. Sulla costa il II Corpo d’armata di Keyes fu risolutamente contrastato dalla 94ª Divisione tedesca, che resistette agli attacchi delle nuove divisioni statunitensi molto meglio di quanto Kesselring e Von Senger si aspettassero. Nella valle del Liri, il XIII Corpo dovette sostenere duri combattimenti per ogni metro di terreno conquistato: l’8ª Divisione indiana costituì a sud di Sant’Angelo una precaria testa di ponte oltre il Rapido, ma nella notte, grazie al lavoro dei genieri che misero in opera due ponti per carri da trenta tonnellate prima dell’alba, essa riuscì ad ampliare e consolidare il suo punto d’appoggio nonostante i contrattacchi. A nord della cittadina, più vicino alle pendici di Montecassino, la 4ª Divisione britannica non ebbe altrettanta fortuna: essa costituì due piccole teste di ponte, ma dietro non avevano ponti perché i punti dove costruirli erano strettamente sorvegliati dalle postazioni tedesche nel monastero, e i genieri erano tenuti lontani dal Rapido dal tiro dell’artiglieria. Occorse tutta la seconda notte per poter costruire un ponte nel settore della 4ª Divisione, ma anche allora l’unità fu duramente contrastata da distaccamenti dei paracadutisti attestati a Cassino e da unità della 44ª e della 5ª Divisione fatte affluire da nord. Alla sera del 13 maggio il XIII Corpo aveva stabilito due teste di ponte oltre il Rapido e le due divisioni si erano ricongiunte dietro Sant’Angelo, ma erano ben lontane dallo sfondamento: il campo di battaglia era ancora dominato dal monastero di Montecassino, e gli artiglieri tedeschi erano ancora in grado di seminare distruzione nella valle sottostante.
Il corpo d’armata che soffrì di più durante i primi giorni fu sicuramente quello polacco di Anders. Il generale decise che per schiacciare i difensori avrebbe dovuto compiere un attacco simultaneo contro tutti i capisaldi tedeschi, per evitare che questi potessero appoggiarsi reciprocamente come era accaduto negli attacchi dei mesi precedenti. Anders decise di non attaccare il monastero stesso ma, irrompendo oltre i crinali situati alle sue spalle e avanzando su un ampio fronte con le sue divisioni, avrebbe tagliato la sottostante statale n. 6, stringendo il presidio di Cassino e il monastero fra sé e la 4ª Divisione attestata nella valle del Liri. Quando l’attacco partì i soldati tedeschi nel settore erano numericamente superiori alle aspettative. Le postazioni tedesche espugnate furono molte, ma quando spuntò il giorno i polacchi si trovarono su pendii esposti impossibilitati a proseguire o indietreggiare, a ricevere rinforzi o rifornimenti e a evitare il fuoco dei tedeschi. Nel corso del pomeriggio il generale Anders fu costretto a ordinare la ritirata sui punti di partenza; i polacchi avevano perso quasi metà degli effettivi senza aver conseguito alcun risultato apprezzabile, se non quello di aver impegnato parte delle forze di Heidrich che altrimenti avrebbero ostacolato molto più duramente la 4ª Divisione. Due giovani ufficiali polacchi catturati furono crocifissi dai tedeschi con filo spinato e chiodi arrugginiti. Da quel momento non ci fu più misericordia da nessuna delle due parti
L’epilogo
Ci furono progressi, tanto che venne autorizzato il secondo attacco polacco contro Montecassino nella mattinata del 17 maggio. I paracadutisti tedeschi furono inchiodati sul terreno da costanti attacchi di artiglieria, mortai e aerei, mentre estese e aggressive azioni di pattuglia consentirono ai polacchi di conoscere meglio il terreno e la dislocazione delle postazioni nemiche. Presero l’ambita Quota 593 la notte prima dell’attacco grazie a enormi sforzi e il successo consentì loro di corrodere le postazioni tedesche che avevano offerto una tenace resistenza alle tante unità che prima di loro le avevano sfidate.
Le forze tedesche del generale Fridolin Von Senger si assottigliarono notevolmente a causa delle perdite, ma anche i polacchi verso tarda mattinata incominciarono a soffrire mancanza di uomini, soprattutto a causa del fuoco prodotto dai mortai sfuggiti all’attenzione dei cacciabombardieri. Dietro le linee polacche vennero formati nuovi reparti in tutta fretta, raccogliendo autisti, cuochi e altri non combattenti, per essere mandati avanti. In serata questi ripristinarono il contatto con le linee avanzate e gli uomini ripresero a procedere verso la vetta, ma a quel punto entrambi gli schieramenti erano ormai esausti. Nel frattempo la minaccia portata dalle divisioni 4ª e 78ª significava che sul massiccio di Cassino i paracadutisti a breve non avrebbero avuto abbastanza uomini per continuare a resistere, e Heidrich per non essere sopraffatto ordinò alle sue truppe di ripiegare durante la notte. Il mattino successivo solo poche retroguardie occupavano ancora alcuni capisaldi a ovest del monastero per impedire alle truppe di Kirkman di chiudere la sacca attorno a Cassino, mentre una pattuglia del 12º Lancieri Podolski si arrampicò verso il monastero trovando solo alcuni tedeschi feriti o morenti abbandonati dai compagni. Dopodiché penetrarono in quel che restava del monastero issando sulle sue rovine la bandiera polacca, e un trombettiere suonò le note dell’Hejnał, una melodia militare polacca medievale, suscitando una grande commozione tra i soldati. La battaglia per Cassino si era finalmente conclusa: i sei mesi di combattimenti avevano ridotto il campo di battaglia in un tetro mucchio di macerie, e gli italiani sopravvissuti nei rifugi e nelle caverne sulle montagne avrebbero impiegato anni a ricostruire una città ridotta ormai a «un’orrenda fossa comune» in cui imperversavano malaria e altre malattie e dove restavano da disinnescare circa mezzo milione di mine
Lo sfondamento alleato a Cassino e Anzio aprì la via a Roma. Il 3 giugno, Hitler autorizzò Kesselring ad abbandonare la capitale, ma era già in atto un disimpegno generale con poche interferenze da parte della popolazione. Durante i giorni precedenti l’ordine di abbandono della capitale fu intrapresa una sorta di gara tra il II Corpo di Keyes sulla statale n. 6 e il VI Corpo di Truscott sulla statale n. 7 per arrivare per primi in città. A un incrocio di periferia ci fu il ricongiungimento tra le due forze, una colonna di corazzati della 1ª Divisione si incontrò con un reggimento dell’85ª Divisione di fanteria proveniente da sud. I carri della 1ª Divisione sono ritenuti in genere i primi che arrivarono in centro: dopo essersi fermati sotto il cartello azzurro con la scritta “Roma”, aspettarono l’arrivo di Clark che prima si fece fotografare e subito dopo fece togliere il cartello per prenderlo come trofeo. Clark era convinto di aver battuto di un giorno la data fissata per l’operazione Overlord; in realtà il maltempo, che aveva fatto così tanto sentire la sua influenza durante i mesi precedenti in Italia, costrinse Eisenhower a ritardare di un giorno lo sbarco in Normandia, che quindi ebbe inizio il 6 giugno. Ma questa è un’altra storia.