Aurelio torna ‘a Baita’, il piastrino restituito ai parenti

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Ritirata di russia (foto Wikipedia)
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Dopo Lino, anche Aurelio torna a Baita. Danilo Dolcini e il gruppo di uomini e donne che hanno preso parte alla spedizione partita dall’Italia lo scorso gennaio per ripercorrere a piedi il percorso della ritirata dell’Armir hanno compiuto il secondo miracolo: riportare a casa un altro disperso, restituire il suo piastrino ai parenti che attendevano un cenno da 70 anni. Il primo è stato Lino Incerti da Baiso in provincia di Reggio Emilia. Il primo dei due piastrini donati da alcuni russi agli italiani che stavano ripercorrendo quel drammatico cammino era il suo.

Aurelio Mangiavacca disperso in russia

il piastrino di Aurelio Mangiavacca 

Il secondo apparteneva ad Aurelio Mangiavacca, alpino della Julia, partito nel 1942 con l’8° reggimento della divisione dissanguatasi dal dicembre 1942 al gennaio 1943 al tristemente famoso quadrivio di Selenyj Yar. Aurelio era nato il 1 aprile 1920 a Castell’Arquato, un piccolo paesino sulle colline in provincia di Piacenza. Con lui era partito anche il fratello Giuseppe, nato il 25 dicembre 1912. Due fratelli partiti insieme per la guerra.

In base a quello che dicono le carte, Aurelio risulta disperso dal 21 gennaio 1943; Giuseppe invece fu catturato dall’Armata Rossa e morì il 4 luglio dello stesso anno al campo di Tiomnikov. Non sono mai più tornati a casa, inghiottiti in un buco nero che per noi italiani si chiama Campagna di Russia.

“A noi 11 persone che abbiamo ripercorso a piedi il tragitto della Divisione Tridentina dal Don a Nikolajevka – racconta Danilo Dolcini – la sera prima della nostra ultima tappa, da Nikitowka a Nikolajevka appunto, si avvicinò un giovane russo, Sergej, e ci consegnò gratuitamente la piastrina di Aurelio. Sergej non volle nulla in cambio, certamente contento se fossimo riusciti a riconsegnare quel piccolo oggetto così tanto importante per la famiglia che lo aspettava a casa. Dopo settimane di ricerche e qualche intoppo burocratico che ha allungato i tempi più del previsto, Domenica 4 novembre consegneremo il piastrino di Aurelio ai familiari; lo consegneremo presso il comune di Vernasca, sempre in provincia di Piacenza e località dalla quale la famiglia Mangiavacca proviene. Quale data più simbolica del 4 novembre, anniversario della fine e della vittoria nella Grande Guerra? Grazie al fondamentale contributo delle persone che lavorano agli Uffici Anagrafe dei comuni di Castell’Arquato, Vernasca, Salsomaggiore Terme e Fidenza, siamo riusciti ad arrivare alla Signora Marisa, figlia di Giuseppe, ed alla Signora Simona, nipote di Giuseppe, il povero fratello di Aurelio. Ho custodito a nome di tutti la sua piastrina in un mio cassetto come una reliquia; uno di noi 11, probabilmente uno degli alpini del gruppo, la consegnerà nelle mani della Signora Marisa. Quella Signora Marisa che il primo giorno in cui ci siamo sentiti al telefono mi disse “E del mio papà non avete trovato nulla?”

Aurelio e Giuseppe Mangiavacca cauduti in Russia

La foto in divisa di Aurelio e Giuseppe Mangiavacca

La ritirata italiana dalla Russia

Con la partenza dell’operazione Barbarossa, l’invasione della Russia da parte delle truppe tedesche, anche l’Italia pensando a una vittoria fulminea decise di allestire un corpo di spedizione  di tre divisioni. I soldati del CSIR, così venne chiamato il contingente, arrivarono in Russia a metà luglio 1941. Inizialmente inquadrato nell’11ª Armata tedesca e poi nel Panzergruppe 1, il CSIR partecipò alla campagna fino all’aprile 1942, quando le esigenze del fronte richiesero l’invio di altri due corpi d’armata italiani che assieme allo CSIR furono riuniti nell’8ª Armata o Armata Italiana in Russia (ARMIR). Schierata a sud, nel settore del fiume Don, l’8ª Armata assieme alla 2ª Armata ungherese e alla 3ª Armata rumena avrebbe dovuto coprire il fianco sinistro delle forze tedesche che in quel momento stavano avanzando verso Stalingrado.

Dopo l’accerchiamento delle forze tedesche a Stalingrado, la successiva offensiva sovietica iniziata il 16 dicembre 1942 travolse il II e il XXXV Corpo d’armata italiano e sei divisioni italiane assieme a forze tedesche e rumene furono costrette a una precipitosa. Il 15 gennaio 1943 una seconda grande offensiva sovietica a nord del Don travolse gli Alpini ancora in linea, i quali, mal equipaggiati e a corto di rifornimenti, iniziarono una tragica ritirata nella steppa, incalzati dalle divisioni sovietiche e costretti a patire enormi sofferenze. L’ultima grande battaglia fu quella di Nikolajewka, il 26 gennaio del ’43. Fuori dalla sacca i nostri soldati furono rimpatriati in treno. Per tradotte partirono per tutto il mese di marzo.

Le cifre ufficiali parlano di 26.115 morti, 43.166 feriti e 63.684 dispersi; i soldati impiegati al fronte sono stati circa 220.000. A guerra conclusa, nel 1946 l’Unione Sovietica consentì il rimpatrio di circa 10.000 prigionieri di guerra italiani. I resti dei caduti furono restituiti solo con la caduta del Muro di Berlino. In seguito fu consentito dalle autorità russe l’accesso a 72 dei molti cimiteri di guerra italiani in quel territorio e sono state iniziate le operazioni di rimpatrio di circa 4.000 salme. Recentemente sempre dalla Toscana è partita una missione per scavare la fossa comune di Kirov in collaborazione con le autorità russe.

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Seconda guerra
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