MAB, basta la parola. Un’arma apprezzata da tutti il Moschetto Automatico Beretta. Mitra in calibro nove in dotazione alle truppe italiane, che fu usato anche da tedeschi, alleati e resistenza. Compare spesso nelle foto di guerra, ma si tratta di un’arma longeva, utilizzata fino al 2005 dalle forze armate italiane in servizi di rappresentanza.
La storia del Mab
Dopo la fine della I guerra mondiale, gli strateghi militari cominciano a ragionare di potenza di fuoco piuttosto che di precisione nel tiro. E così un po’ ovunque cominciano a nascere le pistole mitragliatrici. Anche l’Italia non fa eccezione, la Beretta sperimenta il primo moschetto automatico (tra il 1918 e il 1930). L’arma non viene adottata dal regio esercito, pur avendo ottime caratteristiche, tanto da essere paragonata agli MP34 tedeschi o al Thompson M1928.
Da quel primo prototipo uscì il MAB 1938. Progettato e disegnato dall’ingegner Tullio Marangoni tra il 1935 e il 1937, entrò in produzione l’anno successivo. A quel punto l’autarchica Italia decise di acquistare il mitragliatore. I primi MAB entrarono in servizio dopo la commessa del Ministero delle Colonie che li distribuì alla Polizia dell’Africa Italiana. Parimenti, anche il Dipartimento di Pubblica Sicurezza del Ministero dell’Interno equipaggiò le guardie di pubblica sicurezza con il moschetto automatico. L’esemplare che ammiriamo in foto, nella disponibilità di Vincenzo di Domenico di Biancavilla di Traxarm, è stato prodotto nel 1942.
Il regio esercito adotta il mitra Beretta
Dopo diversi anni dall’omologazione, avvenuta nel ’38, il MAB entrò in linea anche con l’esercito. Era il dicembre del 1941. Lo Stato Maggiore non lo riteneva idoneo al combattimento, puntando ancora sulla precisione del ’91. Ne arrivarono pochi pezzi, finiti nelle mani dei reparti speciali, dei Reali Carabinieri e della Polizia. Il Regio Esercito richiese anche delle modifiche: sparì la baionetta, venne cambiato il compensatore di volata. La Regia Marina equipaggiò con il MAB gli uomini del Battaglione Nuotatori-Paracadutisti e la Regia Aeronautica ne consegnò pochi esemplari al suo Battaglione “ADRA” (Arditi Distruttori Regia Aeronautica).
Dopo l’armistizio, la Beretta aumentò sensibilmente la produzione di MAB, che andarono a equipaggiare l’esercito repubblichino. Ma il mitra finiva spesso nelle mani dei partigiani, che dopo ogni azione recuperavano il possibile degli equipaggiamenti lasciati a terra dagli avversari.
Dettagli tecnici del MAB
Il MAB fu progettato dall’ing. Tullio Marangoni, come “moschetto automatico”, perché abbinava al tiro continuo la calciatura in legno del fucile e quindi la precisione. Il funzionamento era a massa battente E AD otturatore aperto. Per abbattere il calore della canna, questa FU inserita in un manicotto traforato che, in corrispondenza della volata, presentava un compensatore di rinculo costituito da due asole orizzontali, successivamente sostituite da quattro intagli trasversali.
La manetta di armamento era sul lato destro del mitra. Sganciata dall’otturatore, era legata a uno sportellino scorrevole che serviva a tenere l’arma al riparo dallo SPORCO. A sinistra c’era la sicura a leva. Per le mire, soprattutto la prima versione, era stato pensato uno modello simile al fucile con un alzo dritto e cursore graduato fino a 500 metri (peraltro impossibile da raggiungere come gittata).
Il cuore del sistema era il gruppo di scatto senza selettore di tiro ma con due grilletti. Il primo, quello anteriore per il colpo semi automatico; quello posteriore per la raffica. Così si poteva scegliere la modalità di tiro migliore per il momento senza troppo armeggiare con levette o selettori di altro genere. Un dettaglio ‘di lusso’ che faceva il paio con il il percussore flottante con sicurezza automatica contro lo sparo accidentale. Per il MAB venne realizzata una cartuccia speciale in 9×19 detta 9mm M1938, del 15% circa più potente di quelle dell’epoca. Questo migliorava le prestazioni dell’arma, che ovviamente poteva sparare anche qualsiasi cartuccia 9 Parabellum. I serbatoi erano da 10, 20 e 40 colpi.
Il MAB era prodotto con molta cura, soprattutto nelle prime serie, dove venne addirittura impiegato un calcio in noce nazionale, poi sostituito dal ben più economico faggio, con bruniture profonde di alta qualità e finiture accurate. Nelle versioni 38/42 e 38/44 la necessità imposta dagli eventi bellici di accelerare al massimo la produzione abbassò lievemente il livello delle finiture, che però si mantenne sempre più che buono, per un’arma militare.
Le versioni del MAB
MAB 38 – fu la prima versione prodotta dalla Beretta ed era caratterizzata dall’attacco della baionetta posto inferiormente al deflettore di volata. Quest’ultimo era a sua volta caratterizzato su questo primo tipo da due larghi fori rettangolari longitudinali. La baionetta era derivata dalla Baionetta-pugnale Mod. 38 del fucile 91/38
MAB 38A – Prodotta per il Regio Esercito dal dicembre 1941, venne adottata in seguito dalle altre forze armate. Via l’innesto della baionetta sotto il manicotto, modificato lo spegnifiamma che non presentava più i due fori rettangolari longitudinali ma quattro intagli semicircolari ricavate superiormente.
MAB 38A42 – Per ridurre i costi, fu eliminato il manicotto traforato di raffreddamento, e accorciata sia la calciatura che la canna. Gli esemplari di preda bellica catturati dalla Wehrmacht vennero reimmessi in servizio come MP 738.
MAB 38A44 – Prodotto durante la RSI. Non aveva più il blocco dell’otturatore in chiusura e di conseguenza non era presente nemmeno il pulsante sulla parte sinistra esterna della culatta sopra al fusto. Venne eliminato anche il tubo guida-molla e scomparve quindi la caratteristica protuberanza fuoriuscente dal tappo di chiusura posteriore.
parte della produzione (38a42 e 38a44) fu ceduta alla Wehrmacht (erano marcati con i punzoni ‘4ut’ – quarto ufficio tecnico).
MAB 38/49 – Torna la sicura per arrestare l’otturatore in chiusura. Questa versione fu prodotta fino al 1957 in notevole quantità poiché vi era mancanza di armi individuali automatiche.
MAB 38/57 – Modificata su richiesta dell’Arma; la Beretta inserì un nuovo dispositivo di blocco-sblocco dell’otturatore con il pulsante di comando posto dove l’arma doveva essere teoricamente impugnata con la mano che non agiva sul grilletto. Il tiratore avrebbe dovuto impugnare il mitra con la mano sul fusto tra il caricatore e la volata, facendo presa con il pollice sull’incasso sinistro (o destro se il tiratore era mancino) e le altre dita sul lato opposto del fusto.