E’ passata alla storia come una disfatta epica. Cento anni fa, il 24 ottobre 1917, alle 2 di notte prese il via la battaglia di Caporetto (in tedesco Schlacht von Karfreit) combattuta tra le truppe italiane del Regio Esercito, le forze dell’Impero Austroungarico e le truppe tedesche.
I tedeschi sul fronte italiano
Il contesto per l’attacco si crea quando la Russia esce dalla guerra per la rivoluzione. E così Austria-Ungheria e Germania possono trasferire interi reparti sul fronte occidentale e su quello italiano. Sulle Dolomiti arrivano anche i reparti speciali tedeschi, che mai prima d’ora avevano combattuto contro gli italiani. Proprio i tedeschi sfondarono le linee del Regio Esercito, costringendo i soldati a una rapida ritirata verso il Piave.
Le ragioni della sconfitta
Una sconfitta legata alla disorganizzazione e ad alcune scelte discutibili del comando generale italiano. Ma la disorganizzazione divenne efficienza dopo l’avvicendamento alla guida dello Stato Maggiore del Regio Esercito tra il generale Luigi Cadorna e il generale Armando Diaz. I soldati italiani fermarono le truppe austro-ungariche e tedesche nella prima battaglia del Piave, e difesero efficacemente la nuova linea sulla quale erano ripiegati. riuscendo a difendere a oltranza la nuova linea difensiva su cui aveva fatto ripiegare Cadorna.
Il prologo: le offensive dell’Isonzo
Prima dell’offensiva di Caporetto, il generale Cadorna aveva ordinato ben quattro offensive sull’Isonzo durante la seconda metà del 1915, con l’unico risultato di non guadagnare terreno, ma stabilizzare la linea trasformando anche la guerra di montagna in guerra di posizione. Un anno più tardi, non ebbe migliore fortuna l’iniziativa del capo di stato maggiore austro-ungarico Franz Conrad von Hötzendorf che lanciò molti uomini in quella che venne chiamata Strafexpedition (spedizione punitiva) contro gli italiani.
Tutte queste battaglie andarono avanti fino al 1917 e costarono migliaia di vite umane. Gli austriaci chiesero l’aiuto ai tedeschi, che inviarono al fronte alcune unità molto bene addestrate e degli ottimi comandanti come il generale Otto von Below e il suo capo di Stato Maggiore Konrad Krafft von Dellmensingen.
Le nuove strategie austro-ungariche
La battaglia di Caporetto venne combattuta nell’omonima conca ai piedi delle valli del Natisone, che si trovano nella parte più orientale del Friuli-Venezia Giulia, e collegano Cividale del Friuli alla valle dell’Isonzo in Slovenia.
Per la prima volta a Caporetto, i tedeschi svilupparono nuove tecniche di combattimento, portando in battaglia le Sturmpatrouillen, squadre d’assalto formate da 11 uomini (sette fucilieri, due portamunizioni e due addetti alle mitragliatrici) che dovevano muoversi con missione di contrattacco. Una tattica che già i francesi nel 1915 avevano sviluppato, ma che i tedeschi misero sul campo e utilizzarono con efficacia.
Per contro anche il Regio Esercito era si era potenziato; migliorata la capacità di fuoco dell’artiglieria, cresciute le mitragliatrici di truppa, aumentato il numero degli aerei. Alle innovazioni tedesche, l’Italia contrapponeva il classico schema offensivo basato su una potente azione delle artiglierie seguita dall’attacco dei fanti.
Parte l’attacco a Caporetto
Alle 2:00 in punto del 24 ottobre 1917 le artiglierie austro-germaniche presero a martellare la linea italiana dal monte Rombon all’alta Bainsizza. Non solo granate convenzionali, ma anche bombe piene di gas che tra Plezzo e l’Isonzo uccisero molti soldati Dopo quattro ore i cannoni si fermarono per ripartire ancora fino alle 8 del mattino, quando i fanti tedeschi si avvicinarono alle linee italiane e senza attendere la fine del cannoneggiamento, partirono all’attacco
Il primo attacco non fu devastante: gli alpini riuscirono a respingere la metà della 3ª Edelweiss; l’altra metà, assieme alla 22ª Schützen, fu bloccata dopo 5 chilometri dall’estrema linea difensiva italiana posta a protezione di Saga. Non riuscirono invece a tenere le posizioni la 46ª Divisione italiana e la brigata Alessandria poste all’immediata sinistra della 50ª Divisione austro-ungarica, e ne approfittò un battaglione bosniaco che subito diresse per Gabria.
Ma le falle letali nelle difese italiane furono provocate dalla 12ª divisione slesiana del generale Arnold Lequis che entrò nella valle dell’Isonzo senza essere vista dalle posizioni italiane in quota sulle montagne, sbaragliando durante la marcia lungo le due sponde del fiume una serie di reparti italiani colti completamente di sorpresa. L’avanzata ebbe inizio a San Daniele del Carso; cinque ore dopo fu raggiunta Caporetto.
Erwin Rommel entra in battaglia
Nell’offensiva tedesca che portò alla disfatta di Caporetto, ebbe un ruolo determinante anche Erwin Rommel, che fu uno dei più brillanti generali dell’Asse nella II guerra mondiale. All’epoca tenente, la futura ‘volpe del deserto’ entrò in azione con il battaglione da montagna del Württemberg, assegnato di rinforzo all’Alpenkorps. Rommel guidava uno dei tre distaccamenti in cui era stato diviso il suo battaglione e andrò in battaglia contro i fanti della divisione ‘Arno’. La sua azione fu fulminea; prese prigionieri centinaia di fanti italiani, quasi senza perdite prese possesso del monte Nagnoj, dove si posizionarono i pezzi d’artiglieria tedesca che immediatamente ripresero il bombardamento. Annientata la Arno, Rommel puntò contro il Matajur dove si trovava un’altra brigata italiana, la “Salerno”. Dopo una battaglia piuttosto intensa, anche la brigata Salerno si arrese e Rommel, che in tutto ebbe solo sei morti e trenta feriti a fronte dei 9.150 soldati e 81 cannoni italiani catturati.
L’avanzata non si ferma – salta Cadorna
I tedeschi vanno avanti, verso Cividale del Friuli, Udine e la Carnia. La ritirata italiana avvenne nel caos, tra diserzioni e fughe che sfoceranno in fucilazioni e decimazioni di interi reparti. Non mancarono episodi di valore e disciplina durante i quali molti ufficiali inferiori, rimasti isolati dai comandi, acquisirono notevole esperienza di un nuovo modo di fare la guerra, ora più rapida. La disfatta di Caporetto, costò il posto al comandante delle truppe italiane, generale Cardorna, sostituito da Armando Diaz
Arrivano gli alleati
Dopo la disfatta e la sostituzione al comando delle truppe italiane, arrivarono gli alleati francesi e inglesi a combattere con gli italiani. Sebbene non entrarono subito in azione, gli alleati rimasero di riserva così il Regio Esercito potè inviare nuove truppe in prima linea. Nel frattempo, dopo aver aiutato gli austriaci, i tedeschi trasferirono e soldati sul fronte occidentale. Il primo segno di riscossa avvenne per merito della 4ª Armata del generale Mario Nicolis di Robilant; i soldati italiani riuscirono a tenere la nuova linea difensiva sul monte Grappa, bloccando una nuova offensiva nemica.
(fotogallery collezione privata Fabrizio Morviducci per Armymag)