E’ scomparsa a 106 anni, Brunhilde Pomsel. La donna dal ’43 al ’45 fu la segretaria del ministro della propaganda del Reich, Joseph Goebbels. Goebbels fu uno tra i più spietati gerarchi del nazismo, l’unico che decise di condividere con Adolf Hitler anche l’ultimo passaggio della sua vita. Morì suicida nel bunker della cancelleria a Berlino l’1 maggio 1945 insieme alla moglie Magda, che prima aveva narcotizzato e ucciso con una fiala di cianuro i sei figli.
Brunhilde Pomsel è scomparsa il 27 gennaio scorso, ironia della sorte proprio nel giorno della memoria. Nell’agosto scorso la donna, che a 105 anni era protagonista di un film intervista sulla sua vita ‘A German Life’ per l’austriaca Blackbox film, ha rilasciato una lunga intervista al Guardian definendo ‘un lavoro come gli altri’ la sua attività al servizio del ministro della propaganda del III Reich. Un’intervista lucida e allo stesso tempo inquietante in alcuni passaggi.
‘Camminava come un duca’
“Era raro per noi vederlo di mattina – ha raccontato la donna al Guardian – arrivava a piedi dalla sua casa vicino alla porta di Brandeburg. Saliva i gradini come un duca, attraverso la sua biblioteca, verso il suo bellissimo ufficio che dava su Unter den Linden. Noi sapevamo che era arrivato ma abitualmente non lo vedevamo finché non lasciava il suo ufficio, passando da una porta che dava direttamente sulla nostra stanza. A quel punto potevamo chiedergli chiarimenti relativamente ad alcune questioni, o lo informavamo sulla lista delle chiamate. Qualche volta i suoi bimbi venivano a trovarlo ed erano così eccitati di visitare il padre. Arrivavano con l’Airedale terrier di famiglia ed erano molto carini”.
Brunhilde Pomsel decise di rilasciare la lunga intervista ‘non per ripulirsi la coscienza’ come sostenne, consapevole forse di essere l’ultima persona in vita che potesse ‘vantare’ la frequentazione con uno dei principi neri del nazismo. Il vero regista del regime e delle sue malvagie ritualità.
Al Guardian ammise di lavorare nel cuore della macchina propagandistica del Nazismo, impegnata nell’abbassare il numero dei caduti in battaglia e nell’alzare quello degli stupri da parte dell’armata Rossa. Eppure senza troppo pensare per lei quello era ‘un lavoro come gli altri’. “Alla fine – disse l’anziana – non ho fatto altro che fare la dattilografa nell’ufficio di Goebbels”. Non sembrava emergere pentimento, almeno non da queste parole. Piuttosto il concetto che la Germania e i tedeschi erano nazisti. Almeno la maggioranza.
Erano tutti nazisti. Gli idealisti erano morti
“Tutti quelli che hanno detto avrebbero combattuto contro il Nazismo – dichiarò la segretaria di Goebbels – sicuramente sono sinceri, ma molti di loro non avrebbero potuto farlo. Dopo l’ascesa del partito Nazista l’intero paese era come sotto un incantesimo. E del resto avere ideali contro il regime significava avere il collo rotto” (ossia finire impiccati ndr).
Come successe a chi aderiva a Rosa Bianca, il movimento clandestino anti-nazi: l’attivista Sopbie Scholl, impegnata nella Rosa Bianca e nella resistenza venne catturata dopo essere stata sorpresa a distribuire volantini contro la guerra all’Università di Monaco e giustiziata nel 1943. “Uno dei collaboratori di Goebbels – ricordò Brunhilde nell’intervista dello scorso anno – mi consegnò il fascicolo di Sophie, chiedendomi di non guardarlo e metterlo al sicuro. Così feci, ed ero piuttosto soddisfatta del fatto che lui si fosse fidato di me. Ero così onorata, che la sua fiducia fu più forte della mia curiosità di aprire quel fascicolo”. Del resto la Pomsel era cresciuta nella più stretta disciplina prussiana; il padre era un eroe della prima guerra mondiale e insegnò alla figlia il senso del dovere con una disciplina ferrea.
Ovviamente prese la tessera del partito Nazista e fu assunta alla radio di stato. Aveva 31 anni quando qualcuno la raccomandò per il ministero della propaganda; vi entrò nel 1942. La sua busta paga era di 275 Reich-mark, una piccola fortuna rispetto a quello che guadagnavano gli altri.
“Vivevo in una bolla – raccontò – tanto da non sapere cosa mi stesse capitando attorno e quale fosse la distruzione che stavano portando i nazisti”. Strano da credere per una che lavorava al vertice della piramide nazista. Le uniche stranezze che la colpirono furono le difficoltà sempre maggiori che toccavano alla sua amica di religione ebraica Eva Löwental, o l’arresto di un celebre conduttore della radio di Stato, mandato in un campo di prigionia solo perché gay. “So che si stenta a crederlo; so che molti pensano che noi fossimo al corrente di ogni cosa, ma tutto era custodito sotto segreto”. La donna si rifiutava di pensare che fosse ingenuo ritenere che la gente sparita fosse inviata nei Sudeti per ripopolare quella zona.
Quando l’appartamento nel quale lei abitava con i genitori fu distrutto in un bombardamento aereo, Magda Goebbels cercò di alleviare la sofferenza, regalandole un vestito di seta (nella foto) rivestito di lana blu. “Non ho mai posseduto niente del genere – dichiarò la donna – moglie e marito erano entrambi molto carini con me. Goebbels era di bassa statura, ma teneva moltissimo all’aspetto e aveva modi da gentiluomo. Indossava i migliori vestiti e aveva mani ben curate, probabilmente con manicure quotidiane. Non c’era niente da criticare nel suo comportamento, a volte arrivava anche a scusarsi per le sue intemperanze o arroganze”. Però in pubblico si trasformava; assumendo il ruolo del nazista omicida”. Nel ricordo della segretaria, il discorso in pubblico al palasport di Berlino del febbraio 1943. Lei e un altro collega avevano un posto nelle prime file , subito dietro a Madga Goebbels. “Nessun attore avrebbe potuto essere migliore nella trasformazione da persona seria e civilizzata in un bruto. In ufficio aveva una sorta di nobile eleganza, e non si può neanche immaginare il contrasto più grande nel vederlo lì come un nano infuriato”.
L’epilogo
Il punto di rottura nella vita della segretaria, fu il giorno dopo il compleanno di Hitler del 1945. A Goebbels, la sua famiglia e il suo entourage venne ordinato di unirsi a Hitler nel Führerbunker. “Era come se fosse morto qualcosa dentro di me – raccontò a the Guardian la Pomsel – abbiamo cercato di fare in modo da non restare a corto di alcol. Questo perché volevamo restare storditi”. Poi il finale wagneriano, raccontato dall’assistente di Goebbels, Günther Schwägermann. “Gli abbiamo chiesto: ‘Anche sua moglie?’ ‘Sì’ ‘E i bambini?’ ‘Anche i bambini’. Rimanemmo senza parole”
Lei e i suoi colleghi della segreteria, decisero di arrendersi: tagliarono dei sacchi di cibo per ricavare dele bandiere bianche. Ai Russi, la Pomsel disse che aveva lavorato come stenodattilografa per Joseph Goebbels al ministero della propaganda. E’ stata condannata a cinque anni di prigionia, trascorsi in vari campi russi tra Berlino e dintorni. “Non è stato un letto di rose,” è tutto quello che ha detto di quel periodo. Ha detto anche di aver preso coscienza della shoah (la questione degli ebrei come la definì) solo una volta tornata a casa.
Riprese una vita non dissimile da quella che aveva avuto, ricominciando il lavoro di segreteria presso l’emittente di Stato e facendo carriera fino a diventare segretario esecutivo per il direttore dei programmi e di godere di una vita privilegiata, un lavoro ben pagato e viaggi prima di ritirarsi, a 60 anni, nel 1971.
Ma ci sono voluti 60 anni prima che facesse qualsiasi ricerca sulla sua amica di religione ebraica, Eva. Quando il memoriale dell’Olocausto è stato inaugurato nel 2005, è andata a visitarlo. “Sono andata verso il centro di informazione e detto loro che mi mancava qualcuno, la mia amica Eva Löwenthal” Un uomo ha effettuato ricerche e presto ha rintracciato la sua amica, che era stata deportata ad Auschwitz nel novembre del 1943, ed era stata dichiarata morta nel 1945.
Chissà se anche adesso a Eva dirà che non sapeva.